FABULA - CIRCOLO LETTERARIO TELEMATICO
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LA SCACCHIERA

Marco Passarello




Ciascuno di noi sognando l'avversario
e la scacchiera la sua indifferenza.
F. PESSOA

Non è stato possibile chiarire completamente il modo in cui la scacchiera incontrò il suo possessore. Lui stesso, interrogato a questo riguardo, non seppe riferire che scarni e vaghi dettagli. Non è sorprendente, considerata la portata degli avvenimenti successivi, che egli abbia dimenticato. Tutto quanto ci è dato sapere è che la scacchiera gli fu offerta da un personaggio incontrato nel corso di un viaggio in Oriente. Costui viene descritto come un tipico mercante di souvenir o di oggetti d'arte, sebbene con l'andare del tempo, nel ripetere il proprio racconto, il possessore abbia aggiunto alla descrizione particolari che potrebbero far pensare a un mago, a uno studioso o persino a un visitatore proveniente da altri pianeti (l'affiorare di una realtà obliata, o l'illusione creata da fantasticherie sedimentatesi nel corso degli anni?).
Nel corso della sua vita, il possessore rivelò solo a pochissimi, scelti amici i particolari del ritrovamento; lo fece solo in circostanze speciali, e vincolando al segreto coloro che accettavano di ascoltare il suo racconto. Per questo motivo, possiamo risalire a ciò che accadde solo attraverso la raccolta di ammissioni subito ritrattate, vaghi accenni, voci contraddittorie, e non è escluso che la verita sia molto diversa da come ce la rappresentiamo. Ciononostante, riteniamo comunque opportuno rendere nota la ricostruzione che con pazienza siamo riusciti a mettere insieme, cioe questa che ora vi proponiamo. Il futuro possessore, del tutto ignaro di cio che lo attende, entro nel negozio del "mercante" di cui abbiamo gia accennato. Questi presentò al cliente vari articoli, ne discusse i pregi, azzardo qualche cifra, senza concludere nulla di concreto. La conversazione proseguì per qualche tempo senza eventi degni di nota, dopodiche il mercante offrì al cliente l'occasione di esaminare un pezzo speciale: la scacchiera in questione. Condusse il cliente in una camera appartata, il cui unico arredamento consisteva in uno sgabello di fronte a un tavolino rotondo, sul quale era posata la scacchiera. Appena la vide, il cliente capì subito di trovarsi di fronte a qualcosa di speciale. L'oggetto era sicuramente di pregio, di fattura squisita, sebbene non riuscisse a ricondurla a uno stile particolare. Sfiorò il piano di gioco con un dito, accarezzò e soppesò i pezzi, tentando di identificarne la funzione. Inizialmente non dubitò di avere per le mani una scacchiera che, sebbene riccamente ornata, non differiva dalle altre di sua conoscenza. Poi però notò alcune particolarità nel numero dei pezzi, nella loro forma e disposizione, persino nella suddivisione in caselle del piano di gioco. Particolarita così evidenti, che si chiese come potesse non averle notate fin dal primo momento. Perplesso, cercò di ipotizzare quali regole possano valere su una scacchiera così eterodossa. Questo gioco intellettuale lo appassionò talmente, che rimase per lunghi minuti a studiare la scacchiera, dimentico del suo interlocutore (il quale, supponiamo noi, si era probabilmente già allontanato). Infine, avanzata un'ipotesi particolarmente seducente, tentò di metterla in pratica, muovendo uno dei pezzi sul piano di gioco. Immediatamente, uno dei pezzi avversari rispose con una contromossa, scivolando da solo sulla scacchiera senza che nessuna mano lo muovesse.
Il cliente fu colto dalla paura, temendo di essere caduto vittima di un sortilegio, eppure non riuscì a risolversi ad abbandonare la stanza, e con essa la scacchiera. Dopo aver meditato, decise che forse qualcuno desiderava metterlo alla prova. La misteriosa scacchiera era probabilmente un mezzo che qualcuno voleva usare per sondare le sue capacita, e non si poteva escludere che l'enigma propostogli, se svelato, potesse schiudergli chissa quali segreti o tesori. Così il cliente, trasformatosi ormai in giocatore, riprese posto davanti alla scacchiera, e continuo a giocare la sua partita. Non è mai stato chiarito quanto tempo sia durata questa prima fase dell'agone. Si ignora pure come il giocatore abbia potuto sostentarsi durante quel periodo, che non deve essere stato breve, senza mai lasciare la scacchiera (ma questo quesito è, come vedremo, privo di senso). Sulle prime la partita non presentò aspetti di particolare stranezza; l'unica vera difficolta stava nel fatto che almeno uno dei contendenti non conosceva per certo le regole. Questi agì dapprima con estrema cautela, temendo di non riuscire, per ignoranza, a parare i colpi dell'avversario, ma soprattutto paventando la possibilità che le regole che aveva ipotizzato non fossero quelle corrette, e che bastasse per lui compiere una mossa irregolare per essere dichiarato sconfitto, perdendo così la partita e la possibilità di conoscerne la misteriosa posta. Col tempo pero l'ansia del giocatore diminuì, principalmente grazie a un fatto: nessuna delle mosse da lui giocate fu rifiutata dalla scacchiera. Ciò avrebbe potuto significare che il suo invisibile avversario accettava incondizionatamente le regole da lui escogitate, ma le cose non stavano così: dopo alcune mosse, l'invisibile avversario rispose con una contromossa del tutto incompatibile con le regole che il giocatore aveva fino a quel momento considerato valide.
Di fronte a questo evento, il giocatore rimase immobile per parecchio tempo, incapace di decidere il da farsi, teso nello sforzo di comprendere cosa stesse avvenendo sul piano di gioco. Poi un'ipotesi seducente si fece strada nella sua mente: forse non esistevano delle regole giuste per giocare a quel gioco. Forse, come lui aveva dedotto le regole basandosi sull'aspetto della scacchiera e sulle mosse che gli si opponevano, così anche la scacchiera deduceva le proprie regole basandosi su di lui e sul suo modo di giocare. Se le cose stavano così, non era successo nulla di irreparabile: bastava modificare le proprie regole mentali per adattarle alla mossa che doveva fronteggiare, e proseguire nel gioco. Così fece, e tutto andò bene: la scacchiera accettò la mossa e il gioco riprese a fluire. Il giocatore accolse l'evento con soddisfazione: aveva aggirato con successo il primo tranello che gli si era presentato. Spinto dall'euforia, concepì
ben presto un'ipotesi ancora piu allettante: se veramente la sua teoria era corretta, e le regole della partita non erano fissate fin dal principio, ma venivano create man mano dall'interazione dei due contendenti, non era più necessario per lui fare uso di grande prudenza, anzi, era consigliabile una strategia contraria: inventare una serie di regole più illogica e imprevedibile che mai, in modo da confondere irreparabilmente l'avversario e indurlo in errore. Il giocatore si gettò a capofitto in questa nuova strategia, ma non tardò ad accorgersi della fatale svista commessa. Di fronte alla sua iniziale prudenza, la scacchiera aveva proposto regole semplici e mosse guardinghe. Ora, di fronte alle sue intemperanze, la scacchiera reagì con una serie di contromosse altrettanto selvagge, e l'impresa di comprendere il gioco si fece ben presto disperata. Il giocatore cercò, per quanto possibile, di tornare sui propri passi, ma fu tutto inutile: le nuove regole, una volta introdotte, non si lasciarono espellere dal gioco, e complicarono la situazione al punto che, ben presto, anche decidere quali fossero i movimenti consentiti ad un pezzo richiedeva ore di ragionamento; indovinare poi quale fosse la condizione di vittoria di quel gioco ormai impazzito era un'impresa del tutto improponibile. Incapace di interrompere il confronto, il giocatore proseguì
alla cieca, cercando inutilmente una via d'uscita da quella situazione. I suoi pezzi scomparivano uno dopo l'altro, mentre i pezzi avversari si moltiplicavano, venivano promossi o, se mangiati, riapparivano immediatamente in un altro punto della scacchiera. Sembrava che non fosse rimasto nel gioco nulla di costante cui potersi aggrappare per sfuggire al caos che si era generato: dopo qualche tempo divenne evidente che persino i pezzi e il piano di gioco erano preda di una lenta, impercettibile ma costante mutazione, che procedeva inesorabile rispondendo a chissa quali ignoti segnali, e faceva sì che il pezzo che sollevava dalla scacchiera non fosse più lo stesso nel momento in cui lo riappoggiava su una nuova casella, anch'essa mutata. Non furono necessarie molte mosse perché il giocatore, pur non avendo fatto progressi nella comprensione delle regole, intuisse che la partita era ormai prossima alla fine: i pochi pezzi rimastigli erano ormai costretti in un angolo della scacchiera, circondati da forze soverchianti. Ogni mossa concepibile sembrava solo aprire nuove strade all'avversario. Persa ogni speranza, il giocatore decise che era inutile proseguire ulteriormente. Gli restava da risolvere un unico problema: come far capire all'avversario la propria intenzione di arrendersi? Il giocatore afferrò il pezzo che ancora identificava come il proprio re, sebbene fosse molto mutato da quando il gioco aveva avuto inizio, e lo poso con decisione al di fuori dei bordi della scacchiera. La partita non ebbe termine.
A questo punto non è piu possibile riferire molto della partita, in quanto in breve essa giunse a trascendere la capacita che il linguaggio umano ha di raccontare. Portando il re al di fuori di quella che fino a quel momento era stata la scacchiera, il giocatore aveva implicitamente scelto di estendere i confini del campo di gioco al di là degli angusti limiti entro i quali fino ad allora era stato costretto. Ora i pezzi erano liberi di muoversi al di fuori della scacchiera, o meglio: ora la scacchiera si estendeva, e veniva a comprendere tutto quanto prima era stato "fuori", imponendo su ogni cosa le proprie regole cangianti e inarrivabili. Il giocatore stesso, venuto a trovarsi non più all'esterno, ma all'interno del campo di gioco, fu direttamente coinvolto, e si trovò, impercettibilmente ma inesorabilmente, a mutare. Se prima il gioco si era fatto incomprensibile, ora era indescrivibile, e mutava di continuo, mentre la mente del giocatore mutava a sua volta, cercando di rincorrerne la logica. Presto si trovò ad architettare strategie in spazi con infinite dimensioni, eseguendo mosse che non si succedevano in una semplice alternanza, ma si agglomeravano in vertiginosi ammassi frattali, in cui una mossa ne conteneva infinite altre, e queste a loro volta ne implicavano infinite altre, e così via, senza poterne vedere la fine. Il suo corpo, il suo spazio, mutavano con lo svolgersi del gioco, ma il giocatore sembrava non preoccuparsene più: la partita lo aveva ormai inglobato, ed egli era conscio ormai solo di essa, dimentico di se stesso e di ciò che era stato. Procedeva senza piu porsi domande: il concetto di vittoria in quel gioco mutevole era diventato così elusivo da perdere qualunque significato, e la partita seguitava solo perche egli era ormai incapace di fare altro che proseguire. Passò così un tempo indefinito, fino al momento in cui, colto da un'intuizione improvvisa, il giocatore prese una decisione: andare alla ricerca del proprio avversario. Era infatti plausibile ritenere che, se lui stesso era stato trascinato all'interno della partita, lo stesso doveva essere accaduto al suo invisibile oppositore. "Solo comprendendo chi è che mi sta di fronte avrò qualche speranza di uscire vincitore da questo gioco", si disse; e da allora dedicò ogni energia al tentativo di individuare la misteriosa entità nemica. La ricerca, come le fasi della partita che l'avevano preceduta, fu complessa, illimitata, indescrivibile. Più volte il giocatore ritenne di essere sul punto di scoprire la verità, e più volte fu sul punto di concludere che il suo invisibile avversario non esistesse, o comunque non fosse raggiungibile da lui, che si dibatteva all'interno del gioco, ma vivesse in uno spazio esterno, intangibile, e ridesse dei suoi tentativi. E infine giunse il momento in cui, inaspettatamente, mentre era completamente assorbito dalla ricerca, si trovò fianco a fianco con un pezzo avversario. Gli apparve come un mostruoso cavallo degli scacchi, di colore livido e di altezza torreggiante. Fissò il giocatore con uno sguardo insondabile, tacque per un attimo, come se stesse considerando le implicazioni di ciò che era appena avvenuto, e infine disse, con voce agghiacciantemente inespressiva: "Ottima mossa. Il tratto è mio." A queste parole il giocatore si riscosse improvvisamente, e fu colto da un indicibile terrore. Non pensò più alla partita, alla posta, ai suoi pezzi sparsi per ogni dove in mille forme. Pensò solo a fuggire. Si ritrasse, muovendosi alla massima velocità consentitagli, cercando solo di mettere il maggior numero possibile di caselle, mosse, spazi, universi, tra sé e il suo avversario. Fuggì senza coscienza della direzione in cui fuggiva. Fuggì attraverso infiniti luoghi, infiniti ambienti: ostili o ospitali, familiari o mai visti prima. Fuggì, e si ritrovo improvvisamente in una stanza come quella che aveva ospitato la scacchiera. Tutto era come ricordava: il tavolino, lo sgabello, anche la porta, che aprì. Al di la della porta, il mondo non sembrava cambiato. Continuo a fuggire.

Gli amici raccontano che per molto tempo, dopo che il giocatore fu tornato in patria, egli continuò ad assumere un atteggiamento strano, incomprensibile, paranoico. Sembrava ritenersi perseguitato da un'invisibile congiura; a volte commetteva improvvisamente atti inconsulti, altre volte sembrava ponderare infinitamente prima di compiere il più semplice dei gesti, come allacciarsi un bottone o portare alla bocca un bicchiere. La cosa durò tanto a lungo che gli amici, preoccupati, cominciarono a chiedersi se non fosse necessario un suo ricovero. Poi, quasi improvvisamente, il suo comportamento rientrò di nuovo nei confini della normalita. Non offrì mai pubblica spiegazione delle proprie stranezze, ma riprese a nutrirsi regolarmente, a parlare con le persone, a esercitare la sua professione. In breve tempo, questo periodo di sospetta pazzia divenne solo un ricordo seppellito nella memoria dei suoi conoscenti più intimi, ed egli continuò per lunghi anni a condurre una vita apparentemente normale. Si sposò, perfino, e fu la moglie l'unica a poter testimoniare che la situazione era in realtà ben diversa. A intervalli più o meno lunghi, il marito veniva colto da nuove crisi, e ricadeva nel comportamento che abbiamo descritto. In tali circostanze lei gli impediva di uscire di casa e di compromettere la propria immagine. Fu durante una di queste crisi che le rivelò l'esistenza della scacchiera, e si disse convinto che la partita non fosse affatto interrotta, ma avesse solo assunto una nuova forma, le cui regole erano ancora tutte da scoprire. Disse anche che questa convinzione non lo abbandonava mai, e che le sue crisi ricorrenti erano dovute alla tensione richiesta dal fingere che tutto fosse "normale", mentre in realtà le cose stavano ben altrimenti. Con infinita pazienza, la signora fece il possibile per evitare che la situazione degenerasse, e con l'andare del tempo le crisi si fecero sempre piu rare. Non riuscì mai a convincere il giocatore della fallacia delle sue convinzioni, ma riuscì almeno a fargli adottare un atteggiamento piu fatalista. Nell'ultimo periodo della sua vita, accettava tutto quanto gli accadeva come l'inevitabile conseguenza di una partita già persa in partenza. Anche la malattia mortale che lo colpì fu da lui accolta nello stesso modo; sul letto di morte, si dichiarò convinto che la partita fosse ormai alla fine.
Quando spirò, erano presenti solo la moglie e un'infermiera. Dicono che l'infermiera giurasse in seguito di avere visto nello specchio, per un breve attimo, pochi istanti dopo la morte del giocatore, il riflesso di un gigantesco, mostruoso cavallo, e di aver sentito pronunciare la frase: "Ottima mossa. Il tratto è mio."



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